La scienza non è il male. La scienza è il sistema per conoscere attraverso un metodo di ricerca organizzato e rigoroso: osservazione, esperienza, ragionamento, calcolo, ecc. La scienza è nata con l’uomo.
La tecnologia, meccanica o elettronica, analogica o digitale, non è il male. La tecnologia è sempre esistita ed è nata come forma di aiuto, per risolvere problemi pratici e migliorare le condizioni di vita.
Il fatto che, a volte, la scienza e la tecnologia diano un triste spettacolo di se stesse, per mezzo di persone che ne fanno un uso improprio o uno strumento di propaganda, schiavitù e ingegneria sociale, non deve indurre a rigettarle in blocco.
In realtà, ciò che sta accadendo negli ultimi anni, è l’occasione per diventare partecipi, consapevoli e critici, al posto che accettare tutto indiscriminatamente. Gli strumenti, pratici o del pensiero, vanno usati e non subiti.
C’è un errore nella comune mentalità tecnologica (e non solo lì)Nella mente della maggioranza esiste la credenza che un aumento di tecnologia equivale a un minor bisogno di competenza e conoscenza, “tanto ci pensano le macchine” si crede. E così la maggioranza tende a delegare alle macchine: guida distratta, tanto ci pensa l’automobile; zero attenzione e zero ricerca di informazioni, tanto ci pensa Alexa; visite mediche? macché, meglio indagini strumentali.
Peccato che poi non si sappia leggerli,
quegli esami strumentali, né confrontarli con la clinica, oppure non
si sappia più cambiare una gomma forata né distinguere i punti
cardinali senza uno smartphone (anche la bussola è ormai caduta in
disuso, sigh!) e la lista è lunga. Davvero troppo per tentare di
fare anche soltanto un elenco minimamente rappresentativo.
Si tende a fare della tecnica un
sostituto delle competenze umane, ma è un errore macroscopico,
perché è l’esatto contrario. Al crescere della tecnologia, deve
corrispondere un maggiore e migliore livello di conoscenza, di
utilizzo della stessa e di consapevolezza personale, altrimenti non
solo si finisce schiavi della tecnologia, ma si diventa anche più
stupidi e incapaci. Miseramente illusi di saper fare di tutto e
invece inabili anche nelle cose più semplici e maldestri persino nel
valutare il proprio livello di competenza.
Un esempio? Eccolo: una persona su tre pensa di saper fare atterrare un aeroplano! E non un piccolo aereo privato, nooo… la gente pensa di saper fare atterrare un jet commerciale, un aereo di linea, mentre, se non si conoscono le basi del volo, le possibilità di farcela sono prossime allo zero.
La gente pensa anche di saper rianimare
una persona in arresto cardiaco, perché l’ha visto in tv, o di
praticare la manovra di Heimlich su qualcuno che sta soffocando,
ovviamente per la stessa ragione, e pensa di sapere un sacco di altre
cose che invece non sa.
La tecnologia sta facendo crescere a
dismisura la già esistente distorsione cognitiva di quegli individui
incompetenti che credono di sapere tutto di tutto. Una distorsione
cognitiva nota da tempi immemori, che troviamo menzionata già dagli
antichi greci, nell’affermazione socratica giunta a noi tramite gli
scritti di Platone: “Sicuramente sono più sapiente io di
quest’uomo; anche se forse nessuno dei due sa proprio un bel nulla,
ma la differenza fra noi è che lui crede di essere sapiente anche se
non sa proprio un bel niente, io, almeno, so di non sapere”.
Conoscenza ribadita da Shakespeare: “Il saggio sa di essere
stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio”.
Oggi, il fenomeno è noto come “effetto
Dunning-Kruger”, perché descritto dai socio-psicologi David
Dunning e Justin Kruger, che hanno studiato e testato a lungo il
“pregiudizio cognitivo” delle persone con scarsa abilità,
dimostrando che queste credono nella loro superiorità illusoria e
stimano come incompetenti persone estremamente abili. Di contro, gli
individui che sono in realtà più esperti di altri, tendono a
sottovalutare la propria competenza e a credere che problemi semplici
per il loro livello di conoscenza e preparazione siano altrettanto
semplici per gli altri.
Queste, le disastrose condizioni di gran parte dell’umanità, che vengono ingigantite dall’uso della tecnologia. Forse conviene prendere in mano una zappa e ricominciare…
Pensate a un cacciatore che passa ore appostato per trovare, catturare e uccidere la propria preda con lo scopo di sfamare se stesso e la propria famiglia.
Pensate alle famiglie che allevano galline per le loro uova e, ogni tanto, tirano il collo a una di esse.
In questi atti c’è un contatto diretto con l’azione e le sue conseguenze, c’è compartecipazione emotiva. E infatti, un vero cacciatore non fa strage di animali e un piccolo allevatore sacrifica la gallina più vecchia solo quando necessario. Con la consapevolezza che stanno uccidendo, che stanno togliendo la vita a una creatura.
Ora pensate agli allevamenti intensivi e ai mattatoi, pensate al distacco emotivo con cui gli animali vengono allevati e poi uccisi per mezzo di macchinari appositi.
In questo modo di operare si crea un filtro tra l’azione dell’uomo e il suo impatto sulla sua struttura psichica e sull’ambiente in generale e quasi nessuno si rende conto di ciò che sta facendo davvero. L’atto si spersonalizza, diventa meccanico, potenzialmente disumano.
Ora, io non sono contrario alla tecnica, tutt’altro, ma se la tecnica si sviluppa senza etica, senza rispetto, senza consapevolezza, la deriva è dietro l’angolo. E a nulla vale creare schiere di ambientalisti e animalisti e vegetariani e vegani… perché neanche queste persone capiscono veramente qual è il focus della questione. Si trasformano semplicemente in nuovi fanatici che si contrappongono a fanatici della “tecnologia da strage”.
E lo stesso discorso si applica alla guerra. Per quanto brutta sia l’idea di uno scontro corpo a corpo, resta il fatto che, nel ferire e uccidere, l’uomo ha coscienza di ciò che sta facendo. Ma quando si pilotano aerei o si manovrano droni a distanza o si dirige qualsiasi altra diavoleria che sgancia bombe o proiettili su luoghi e persone, si perde il contatto emotivo e tutto diventa finzione.
Ecco, è questa la tecnologia che dovremmo ripensare: quella che fa perdere il contatto con se stessi e il proprio mondo.
Non credo che per gli esseri umani si possa chiamare evoluzione, miglioramento, arricchimento il produrre macchine che si comportano da persone e spingere gli esseri umani a comportanrsi come macchine.
Realtà potenziata, metaverso, intelligenza artificiale, ingegneria genetica, crionica, nanotecnologia, neurofarmacologia, interfacce tra mente e macchine, eccetera, sono tutti elementi del transumanesimo, che mira a una convergenza tecnologica a partire dall’unione di biologia, informatica, nanotecnologia e scienze cognitive.
Il transumanesimo non è un’invenzione dei complottisti, ma una realtà che conta svariati estimatori, nonché associazioni nazionali e internazionali.
La maggior parte dei transumanisti non crede in un’anima umana trascendente, ma confida nella compatibilità delle menti umane con l’hardware dei computer, nella speranza che la coscienza individuale possa, un giorno, essere trasferita su un supporto digitale.
Ciò premesso, è importante sapere che la scienza non ha ancora raggiunto questi traguardi e non si sa se li raggiungerà mai. Quello che è certo, invece, è che stanno cercando di rendere questo panorama appetibile per gli esseri umani (come hanno fatto con i sieri miracolosi) così da poter fare una vasta sperimentazione sulle persone, usandole come cavie.
Rendono dilettevole e utile la realtà virtuale e la realtà aumentata, tramite visori e stimolatori sensoriali, e poi cercheranno di sostituire gli strumenti esterni con integrazioni fisiche di componenti digitali.
Chi accetterà questo nuovo scenario, si trasformerà in una cavia, perché, lo ripeto, questa fantatecnologia è ancora lontana dall’essere una realtà, tantomeno sperimentata e sicura.
Ciò che accadrà nei prossimi mesi e anni dipenderà dalla gente. Sarà una libera scelta accettarlo, ne più ne meno di ciò che è successo con la fantapandemia.
Informatevi prima, per non dire, dopo, che siete stati obbligati e fregati.