Il simbolo della pace, disegnato da Gerald Holtom nel 1958 (immagine 1) divenne famoso con la campagna per il disarmo nucleare e poi venne assunto come emblema dell’antimilitarismo e quindi della pace.
L’autore disse, inizialmente, di essersi ispirato all’alfabeto nautico, usando le lettere N e D: Nuclear Disarmament (immagine 2), ma in seguito lo definì come la rappresentazione di un individuo disperato con le mani allargate verso il basso come il contadino di Goya davanti al plotone d’esecuzione, che peraltro non ha affatto le braccia rivolte in basso (immagine El tres de mayo de 1808 en Madrid – Francisco Goya).
Curiosamente Gerald Holtom si rifiutò di registrare il marchio. Dico curiosamente perché questo simbolo, in realtà, è molto più antico del 1958 e appartiene all’alfabeto runico delle antiche popolazioni nordiche.
La differenza sostanziale è l’orientamento.
La runa Algiz o Eolh o Elhaz (immagine 3) è orientata verso l’alto e rappresenta le braccia aperte verso il cielo, l’uomo in preghiera, il sacerdote che si unisce al divino e accetta la responsabilità della propria vita.
È anche simbolo dell’alce, le cui corna simboleggiano la rinascita ciclica, la fecondità e l’abbondanza.
Questa runa è un simbolo benefico e positivo, che indica l’apertura verso la dimensione spirituale dell’esistenza, la difesa di ciò che si ama, la protezione dai nemici, il potere magico. È anche simbolo del sacrificio di sé come forma evolutiva e spiritualizzante, tanto che evoca il sacrificio di Odino appeso all’albero cosmico che “sacrifica se stesso a se stesso”.
Capovolta, ovviamente, inverte il suo significato e ci parla di materialismo, di caos interiore ed esteriore, di debolezza, di vulnerabilità, di mancanza di protezione, di sconfitta.
In ultima analisi, Algiz capovolta rappresenta colui che viene sacrificato per gli interessi altrui.
Prima di far proprio un simbolo, riflettete.