Il relativismo e l’uomo che si credeva un’aquila

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Lo slogan attuale recita più o meno così:

“sii chi vuoi essere a dispetto di qualsiasi evidenza”.

La ascolti, questa frase, e pensi che suona anche bene, quasi un invito a osare.

A osare sempre, perché ciò in cui credi vale la pena di essere perseguito.

Ma se sei un essere umano e ti percepisci aquila, non basterà il desiderio a farti spuntare le ali e, di fronte a un volo ardito, lo schianto è assicurato.

E allora non ci resta che chiederci il perché di questo slogan, al di là di facili discorsi sull’inclusività, che qui non c’entra niente. Si possono rispettare le opinioni di tutti e le scelte di ognuno, senza perciò credere che una sfera sia un cubo e che un cavallo sia un airone. L’inclusività è un termine oramai è scaduto nel ridicolo, che ogni persona di buon senso dovrebbe sostituire con la parola libertà.

Ma allora, ci chiedevamo, perché il relativismo è dilagante?

Perché dietro al dito della presunta libertà personale a percepirsi come si vuole, c’è la montagna delle distorsioni del mainstream, che interpreta secondo il proprio comodo eventi, principi, regole. E che, forte del fatto che tu puoi crederti un orsacchiotto anche se hai sembianze umane, pensa di poterti vendere una strage come una scampagnata primaverile.

Il relativismo culturale ed etico, dove niente e nessuno può far valere valori universali, è di solito di breve durata e serve a spezzare i vecchi paradigmi, prima che ne vengano di nuovi a sostituirli.