Per superare la paura serve il coraggio o la conoscenza?

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Partiamo dal fatto basilare che il termine “coraggio” compare come contrario di “paura”, ma non fermiamoci qui e spingiamoci oltre per capire meglio. Consideriamo, in primis, il significato etimologico di “paura”. Qui la ricostruzione più accettata è che derivi dal latino “pavire” ossia “battere la terra”, dalla radice indoeuropea “pau-” che indica il senso del “battere”.

La paura, dunque, sembrerebbe derivare dall’essere percosso, abbattuto, atterrito, e infatti la paura scuote, spaventa, come un terremoto interiore, e di fronte alla paura si attiva la reazione del combattere o fuggire (ciò che si ritiene nocivo).

Igor Sibaldi sostiene che il coraggio non è l’antidoto della paura perché quando si fa qualcosa di coraggioso, la paura ha già vinto, è già presente. Sibaldi scrive: “Nel coraggio facciamo soltanto ciò che la paura ci impedirebbe di fare: e in tal modo lasciamo che la paura limiti le nostre possibilità d’azione”. Nella sua visione, la paura si non sconfiggerebbe affrontandola, ma con la conoscenza che porterebbe a essere più grandi di essa.

C’è qualcosa di vero in questo, ma a mio parere c’è anche un inganno intrinseco, che parte dal fraintendimento del concetto autentico di coraggio.

Il coraggio non è il paradigma di violenza che l’immaginario comune associa alla sfera cavalleresca e militaresca. Il coraggio non è mettere a rischio se stessi in uno scontro per affrontare il nemico. Il coraggio è ben lontano dalla stupidità che spesso governa simili sfere. Il coraggio non è audacia (osare), non è temerarietà (agire in modo sconsiderato) e non è ardimento (l’essere duro).

Cos’è allora il coraggio?

La parola deriva dal latino: cor = cuore.

Coraggio è agire con cuore, è seguire una via che abbia un cuore, è avere in sé una speciale forza d’animo che non lascia sbigottiti di fronte al pericolo, ma neanche induce a buttarsi a casaccio in imprese sciocche e prive di valore.

Il coraggio è una virtù ad ampio spettro, legata al cuore e ai nobili intenti e sentimenti.

Ora vi domando, è davvero possibile, come sostiene Sibaldi, perseguire una conoscenza che renda più grandi della paura, SENZA il coraggio?

Secondo me, no.

E il perché è semplice: la sfera intellettiva senza cuore (che tradotto significa una conoscenza priva di coraggio) è sterile e spesso è proprio indotta dalla paura, perché cerca goffamente di dominare (non di superare) la paura irrazionale con la razionalità. Alla lunga, ciò sfocia in nozioni che non si traducono in atti concreti, si tratta, cioè, di una conoscenza che rimane a livello di parole, perché manca il cuore e il coraggio per camminarle, quelle parole.

In ultima analisi, la paura si supera con il coraggio di guardare in faccia ciò che ci spaventa, sia esso un fantasma interiore o un ostacolo esteriore, con la volontà di comprendere il senso vero e profondo della paura e poi nell’ampliare la nostra conoscenza per andare oltre.

La conoscenza, da sola, può generare inetti. Inetti che parlano bene, ma razzolano a caso.

Samantha Fumagalli

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